Triumphus


Passeggiando per le strade più antiche di Roma non è difficile imbattersi in costruzioni monumentali a forma di arco, chiamate appunto arco di trionfo, universalmente riconosciute tra gli elementi più caratteristici dell’architettura imperiale romana. L’arco trionfale più antico esistente è l’Arco di Tito (Età Flavia), si trova a Roma ed è situato all’ingresso della Via Sacra, a ridosso del Foro romano. In particolare, ci ricorda la conquista della Galilea e la presa di Gerusalemme da parte del generale Tito nel 70 d.C.

Citando l’arco, è d’obbligo far menzione della cerimonia del triumphus (trionfo), riconoscimento dal carattere sacro e militare attraverso cui il popolo romano omaggiava il suo condottiero, ed è interessante notare i particolari che descrivono come la cerimonia fosse raffinata e al tempo stesso articolata, dove il solenne si mischiava allo sfarzo.

Il rituale di celebrazione aveva tempi e ingressi precisi: alla guida del corteo c’erano i senatori romani seguiti da corni e trombe che, a loro volta, precedevano innumerevoli fanti e centinaia di persone che esaltavano la maestosità del protagonista del giorno che avanzava orgoglioso adornato da abiti sontuosi e accessori appariscenti. La meta finale del corteo era poi il tempio di Giove, cui veniva riservato un sacrificio di riconoscimento per la protezione durante la guerra.

Tutto ciò descrive un ingresso dignitoso, meritato da chi portando il suo esercito alla vittoria è stato pronto a sacrificare la vita degli altri per essere poi acclamato. Il triumphus era la più alta ricompensa militare, una vera e propria celebrazione della grandezza del vincitore.

La Bibbia ci parla di un re, forse un po’ fuori dal comune, anticonvenzionale, che non ha ambito a un ingresso fastoso e con abiti appariscenti. Al suo interno, precisamente nei quattro Vangeli (di seguito i riferimenti testuali), è descritta una storia realmente accaduta che ha delle analogie con il triumphus romano.

Matteo 21:1-11; Marco 11:1-11; Luca 19:29-44; Giovanni 12:12-29

La storia si svolge in Israele, nella regione della Giudea. Il protagonista è Gesù e a pochi giorni dalla sua crocifissione si muove verso Gerusalemme; prima di entrare nella città chiede a due dei discepoli che lo seguivano di andare in un villaggio vicino per prendere un puledro d’asino legato a una porta e di condurlo a lui. I discepoli fecero così, lui vi montò sopra ed entrato in Gerusalemme fu acclamato dalla folla festante che stendeva sulla sua strada mantelli e rami di palma esclamando: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il Re d’Israele” (Giovanni 12:13).

Il popolo d’Israele, sotto il controllo dell’impero romano, acclamava Gesù come un liberatore politico e militare, colui che li avrebbe liberati dal dominio. Gli israeliti conoscevano perfettamente la legge di Mose e quanto scritto dai Profeti nel corso della storia d’Israele e proprio uno di questi, Zaccaria, scrisse diversi secoli prima la profezia che si sarebbe avverata in quel giorno:

“Esulta grandemente, o figlia di Sion, manda grida di gioia, o figlia di Gerusalemme; ecco, il tuo re viene a te; egli è giusto e vittorioso, umile, in groppa a un asino, sopra un puledro, il piccolo dell’asina.”  (Zaccaria 9:9)

Non sembra un atteggiamento regale. Gesù non appare come un uomo motivato da sentimenti eccessivi, tuttavia la Bibbia è chiara: egli entra come Re. Per il Suo “trionfo” entra in Gerusalemme non come uomo di guerra, su un cavallo e con soldati, ma su un puledro d’asina come portatore di pace. Ad accoglierlo c’era una folla festante che stendeva mantelli e rami di Palma eppure a Gesù questo non interessava perché Egli mirava a qualcosa di più in un tempo già stabilito. Non era venuto sulla Terra per combattere l’impero, ma per liberare tutta l’umanità da qualcosa di più grande.

“Ella partorirà un figlio e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati”      (Matteo 1:21)

La regalità di Gesù si rivela nella Sua umiltà e nei momenti cruciali della sua esistenza: la nascita e la morte. Questi due eventi sono di enorme importanza perché hanno dato all’uomo speranza e libertà eterna. La Sua morte sulla croce può essere vista da molti come sconfitta, Dio Padre invece fa di Gesù il vero re, il vero vincitore, proprio sulla croce. Con la Sua morte diede non solo a Israele, ma a tutta l’umanità, la possibilità di essere liberata da una schiavitù ben peggiore: quella del peccato.

 “…egli ha cancellato il documento a noi ostile, i cui comandamenti ci condannavano, e l’ha tolto di mezzo, inchiodandolo sulla croce; ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce” (Colossesi 2:14-15)

Gesù fu un re unico e ineguagliabile e la croce fu il suo trono. Un re che non è venuto per uccidere e sporcarsi del sangue di altri uomini, anzi, con il Suo sangue e il dono della sua vita ha concesso salvezza lasciandosi umiliare senza aprire bocca. L’uomo non ha avuto nessuna stima di Lui, eppure erano i nostri peccati che egli portava.

Non sconfisse i Suoi nemici con la violenza, ma li conquistò con la Sua morte. Risuscitando, Gesù ha sconfitto il peccato e la sua condanna e ha esteso questa salvezza su quanti, ancora oggi, si riconoscono peccatori. Egli è vivo, siede sul suo trono e regna su tutto. Il Suo desiderio di salvare non è cambiato; promette la vita eterna in Sua presenza nel cielo a chiunque crede in Lui e nelle sue promesse. Gesù vuole renderti partecipe della Sua vittoria.  Esiste qualcosa di più straordinario?

Oggi è il tempo di conoscere questo Gesù che è entrato in Gerusalemme non come liberatore sanguinario, ma come principe di Pace, vincendo sulla morte e dandoci la possibilità di vincere con lui.