Immagina di entrare in una sala piena di persone. Tutti sembrano essere lì per lo stesso motivo, ma ognuno ha una storia diversa. C’è una donna anziana che ha vissuto tutta la sua vita in una piccola città, un giovane ragazzo che è appena arrivato dal Congo, un uomo disabile che fatica a muoversi e una giovane madre che, nonostante le difficoltà, è riuscita a portare con sé il suo bambino. Guardando queste persone, si potrebbe pensare che abbiano poco in comune, ma c’è una cosa che li unisce: ognuno di loro è stato accolto con lo stesso calore, senza discriminazioni, senza giudizi, come se ognuno fosse ugualmente prezioso agli occhi di chi li accoglie. Questa scena, sembra un sogno, e ci fa riflettere su quanto spesso, come esseri umani, tendiamo a fare delle distinzioni. Diamo più attenzione a qualcuno che riteniamo più “meritevole” di un altro, o ci circondiamo di persone che sono simili a noi, che condividono la nostra cultura, i nostri valori, le nostre esperienze. Ma, se guardiamo alla visione di Dio, vediamo una realtà completamente diversa: Dio non fa distinzioni, non ha riguardi personali, e la Sua salvezza è offerta a tutti, senza alcun tipo di preferenza. La Sua giustizia e il Suo amore non sono limitati dai confini umani, ma si estendono a tutti i popoli, le razze, le culture, senza che ci sia alcuna “migliore condizione” per meritarsi il Suo favore. Non so quale sia il tuo rapporto con il “diverso” o con lo “straniero”, ma una cosa è certa: su questo tema, Dio era anni luce avanti, già migliaia di anni fa. Romani 10:12 ci ricorda per esempio che “non c’è distinzione tra Giudeo e Greco, essendo egli lo stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano.” E ancora Galati 3:28 dichiara l’uguaglianza davanti a Dio tra schiavi e liberi, maschi e femmine. La volontà di Dio, dunque, è sempre stata quella di salvare tutti poiché Lui ama tutti. In 2 Pietro 3:9, leggiamo infatti che Dio è paziente, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento.” Qualcuno potrebbe pensare che il desiderio di Dio di salvare tutti gli uomini sia nato solo con la venuta di Gesù, e che nell’Antico Testamento Dio fosse interessato unicamente alla salvezza del popolo d’Israele. Ma non è affatto così. Al contrario, la scelta di Israele come popolo particolare aveva uno scopo profondamente missiologico: essi erano chiamati a essere santi come Dio, per diventare una luce per le nazioni, un segno vivente della presenza e della giustizia divina nel mondo. Nell’Antico Testamento troviamo infatti numerose testimonianze della salvezza offerta anche a chi non apparteneva al popolo eletto. Un esempio straordinario è quello di Raab, una donna straniera e, per di più, una prostituta. Da un punto di vista umano, potremmo pensare che non avesse nulla che la rendesse degna di far parte del popolo di Dio. Eppure, proprio lei sceglierà di riconoscere il Dio d’Israele come suo Dio, verrà salvata e inserita nella storia della salvezza. Raab non solo sarà preservata, ma il suo nome comparirà tra gli eroi della fede nel celebre capitolo 11 della Lettera agli Ebrei. La sua storia ci ricorda che l’amore di Dio non ha confini etnici, morali o culturali: chiunque apre il cuore alla verità e alla fede viene accolto, trasformato e reso parte del suo popolo. La salvezza di cui parla la Bibbia ha sicuramente un carattere inclusivo, ma il concetto di “inclusione” che Dio ha in mente è ben diverso da quello che spesso intendiamo oggi. Potresti pensare che, poiché Dio desidera salvare tutti, alla fine tutti saranno salvati. E, poiché ha dato l’ordine di predicare a ogni nazione, tribù e lingua, potrebbe sembrare che salvi indistintamente ogni religione. Ma la verità è che “includere” non significa accogliere chiunque senza distinzione, senza regole, confini o requisiti. La salvezza di Dio è inclusiva, ma anche esclusiva allo stesso tempo. Non possiamo pensare che il Signore consideri tutti come suoi figli e parte del suo popolo se non soddisfano i criteri necessari o, peggio ancora, se non desiderano esserlo. Dio è inclusivo nel senso che non costringe nessuno ad entrare nel suo regno; offre a tutti la possibilità di conoscere la salvezza. Tuttavia, nella Bibbia leggiamo anche che la via che porta alla salvezza è stretta, difficile da percorrere, e non tutti scelgono di seguirla.
A tal proposito, c’è un versetto che riassume l’inclusività e l’esclusività del Vangelo:
“Dio non ha riguardi personali, ma che in qualunque nazione chi Lo teme e opera giustamente gli è gradito” (Atti 10:34-35)
Dio non ha preferenze, né riguardi personali, poiché la Sua natura è puramente giusta e inclusiva, priva delle limitazioni umane. Tuttavia, per la Sua giustizia, non può salvare chi non desidera essere salvato o chi non si riconosce come Suo figlio. Le condizioni enunciate in questo versetto sono due, chiare e precise: per essere graditi a Dio, è necessario temerLo e agire giustamente. Cosa significa tutto ciò? Temere Dio non significa solo avere paura, ma implica un rispetto profondo che porta a una sottomissione e obbedienza a Lui. Da dove deriva questo rispetto? Dal riconoscere Dio come il sovrano e il Signore della propria vita. Solo se riconosciamo Dio come colui che ha compiuto un atto incredibilmente grande per noi – come morire sulla croce per i nostri peccati – possiamo considerarlo degno di rispetto e timore. Questo sentimento, radicato nel cuore, porta inevitabilmente al secondo passo: agire giustamente, vivere in modo santo, allineati con il carattere di Dio. Queste sono le caratteristiche dei Suoi figli, le condizioni attraverso le quali, senza alcuna distinzione, una donna australiana, un ragazzo di una tribù africana, un anziano indiano, un ricco imprenditore, una donna con disabilità, una giovane intellettuale o un senzatetto possono entrare a far parte del popolo di Dio. E sarà bellissimo un giorno vedere quello che vide Giovanni quando affermò:
“Guardai e vidi una folla immensa che nessuno poteva contare, proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue, che stava in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di bianche vesti e con delle palme in mano. E gridavano a gran voce dicendo:
La salvezza appartiene al nostro Dio che siede sul trono, e all’Agnello.
(Apocalisse 7:9-10)